da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni (Karl Marx)

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martedì 30 aprile 2013

perdono

C'è una domanda, che mi sembra totalmente cretina oltre che volgare, che quasi tutti i giornalisti italiani (non so quelli stranieri) sembrano non poter fare a meno di rivolgere ai parenti delle vittime di una strage o di un attentato o di un violento atto criminoso.
E' una delle prime richieste che vengono fatte, di solito a cadavere ancora caldo o a ferite ancora aperte, come se fosse di importanza capitale per l'intera collettività.
"Lei è disposto/a  a perdonare?"
Che cosa diavolo te ne frega? Mi viene da rispondere ogni volta che ascolto questa ributtante intrusione nei sentimenti altrui.
Al di là del fatto che l'eventuale perdono non sposta nulla della gravità e della responsabilità di un delitto, come è possibile postulare che un figlio, una figlia, una sorella, un fratello, una madre, un padre, una moglie, un marito, di chi ha avuto la vita spezzata o rovinata per mano di qualcuno, siano normalmente dotati della carità sovrumana necessaria al perdono?
Invece la domanda viene posta con una frequenza tale che sembra lasciare intendere grandi aspettative.
Io credo che il perdono sia un fatto assolutamente privato e che nessuno abbia il diritto di intromettersi nella sua genesi, comunque sofferta, con una domanda che è già di per sé un'ingerenza insopportabile. 
E poi, in nome di che cosa? Di una rassicurazione? Di una catarsi? Di un altro po' di lacrime da dare in pasto al pubblico?
Ci vuole più rispetto per il dolore, che è purtroppo frequente e, a maggior ragione, per il perdono che è  un prodotto dell'anima, opportunamente raro e prezioso, non da tutti. 
Il perdono teme la luce dei riflettori e l'umidità delle bave, dell'inchiostro e delle lacrime.
E io detesto tutta quell' "informazione" che non è utile ad altro che non sia lo spaccio ben remunerato delle emozioni. 

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