da ognuno secondo le sue possibilità, a ognuno secondo i suoi bisogni (Karl Marx)

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mercoledì 26 novembre 2014

sostiene Tony Blair

Sostiene Tony Blair che non possiamo più permetterci lo stato sociale di venti anni fa.
Ne sono convinto.
Sono anche convinto che, tenendo la barra su questa rotta, tra venti anni, forse prima, non potremo permetterci lo stato sociale di qualsiasi tipo.
E, andando un po' più in là, tra cinquanta anni, magari, le generazione future non potranno più permettersi nemmeno lo Stato.
Immagino risorse sempre più scarse, amministrate e consumate da elite sempre più ristrette di persone che potranno comprarsi, oltre all'istruzione,  anche una vita molto più lunga delle moltitudini lasciate nell'indigenza e nell'ignoranza fino a scatenare conflitti per la sopravvivenza, combattuti, naturalmente, dai poveri e causati dai ricchi, blindati in oasi felici.
Sembra fantascienza ma sono convinto che già tra pochi anni le statistiche ci confermeranno un trend di riduzione della qualità e dell'aspettativa di vita anche in alcuni paesi non troppo lontani da noi. 
Blair ha ragione a dire quel che dice, dal suo punto di vista,  perché, nella migliore delle ipotesi, considera lo stato sociale una caratteristica retrattile della democrazia, come quasi tutti i leader europei.
Io mi permetto di dissentire; se cominciassimo a pensare che lo stato sociale è la democrazia, che non si tratta di un accessorio ma di una priorità, anzi, della priorità, potremmo conservare qualche speranza per il futuro.
Non dovrebbe succedere, per esempio, che il licenziamento di un gruppo di lavoratori aumenti i guadagni degli azionisti di un'azienda; gli azionisti, al lavoro per il companatico, verrebbero dopo i lavoratori, al lavoro per il pane.
Semplificando, ci sarebbero meno ville con piscine, sostituite da un tetto sulla testa per tutti.
La dignità e la vita dovrebbero tornare a occupare il posto che spetta loro nelle società civili che si occuperebbero di esse prima che della finanza più o meno creativa.
Quando ci accorgessimo che avanza qualche cosa sono sicuro che troveremmo anche il modo di investirlo, magari in un miglioramento dello stato sociale. 

sabato 22 novembre 2014

se questo è il meglio

Lo scrivo subito e mi tolgo il pensiero: Renzi è il meglio, politicamente parlando, a cui possiamo aspirare in questo momento.
Ciò detto, ieri sera, nella trasmissione di Crozza, in una scena riuscita che parodiava West Side Story, il nostro premier veniva ripetutamente definito "cazzaro".
Questa mattina ho letto un lungo intervento dell'Ego Della Bilancia su Repubblica e, purtroppo, ho avuto la sgradevole sensazione che la sua tendenza a fare il "furbetto" lo porti a volte a meritare la qualifica.
In mezzo a una serie di affermazioni facili da fare e da accettare, adoperate per sostenere la sua pretesa militanza a sinistra, nel difendere il jobs act, trattando dell'articolo 18 (già definito ostacolo rimosso (!) in altra occasione), Matteo se ne è uscito sostenendo che l'articolo in questione non è servito a granché, data la disoccupazione presente in Italia.
La buonanima politica di Di Pietro direbbe: "Che c'azzecca?" L'articolo 18 è una tutela, non serve certo a creare posti di lavoro, a quello dovrebbe pensare la politica rilanciando crescita e economia; non solo: la vigenza dell'articolo 18 non è riuscita comunque a contrastare innumerevoli licenziamenti, già possibili, nel nostro Paese, con fin troppa facilità, in barba proprio a una delle ridicole motivazioni addotte dalla destra per giustificare la sua battaglia feroce contro un diritto dei lavoratori: la panzana secondo cui in Italia sarebbe impossibile licenziare a causa dell'articolo 18.
E quindi, con licenziamenti ancora più facili, in Italia è inevitabile, in tempo di crisi e non, che la disoccupazione aumenti ulteriormente; temo ne avremo presto la prova.
La seconda occasione in cui Matteo è sembrato Pierino (non Di Pietro, ma quello delle barzellette), è verso la fine della lunga lettera quando, presumo col sottinteso "massimo rispetto", ha rimproverato al sindacato di manifestare contro il jobs act  e di non aver manifestato contro la legge Fornero.
A parte il fatto che, "col massimo rispetto", Renzi ha sempre fatto il possibile per alienarsi la disponibilità a qualsiasi trattativa da parte delle rappresentanze dei lavoratori; a parte il fatto che nessuno ha mai pensato che il sindacato fosse immune da errori, e proprio per questo potrebbe aver fatto tesoro di un'esperienza negativa per non ripeterla; se il nostro presidente del consiglio si dichiara implicitamente convinto che la la legge Fornero meritasse una forte opposizione, cosa aspetta a cambiarne i nefasti effetti su esodati, pensionati e lavoratori? Ne ha il potere lui molto più del sindacato. Non vorrà mica che qualcuno, tra qualche anno, possa rivolgergli una frase tipo: "Quando c'era da cambiare una legge che tu stesso giudicavi iniqua, tu dove eri?"
A volte viene da chiedersi se l'Ego pensa ai concetti che esprime o se pensa semplicemente che  i suoi interlocutori non siano in grado di pensare.
E questo, come dicevo,  è il meglio che abbiamo.

mercoledì 19 novembre 2014

odio i lavoratori

Mancava solo questo alla dichiarazione del tronfio Sacconi, che ha avuto la faccia tosta di affermare quasi testualmente che "finalmente è stato eliminato l'articolo 18, privilegio sopravvissuto a una concezione novecentesca del lavoro".
In realtà, insieme all'articolo 18, è caduto un altro pietoso velo, rivelando quel che si sapeva da un pezzo: nella nostra classe politica, ma non solo nella nostra, purtroppo, c'è chi, privo di qualsiasi problema economico, decide scientemente di sottrarre diritti a famiglie già ridotte in condizioni precarie da scelte operate sempre a favore dei pochi e a discapito dei molti.
Come ho sempre pensato, non c'è una ragione di autentico incremento dell'occupazione nell'assumere certe decisioni, come dimostra la mancanza di una giustificazione credibile alla soppressione di un diritto, ma solo la volontà cinica di penalizzare e ridurre ulteriormente gli spazi di manovra di chi campa faticosamente del proprio lavoro, per far sì che il prezzo delle prestazioni si contragga ulteriormente a vantaggio dei soliti ricchi.
D'altra parte, il trionfalismo sacconiano non era rivolto a una conquista, ma a uno smantellamento; l'individuo non si è presentato palesando soddisfazione per un imminente rilancio dell'occupazione, ma godendo nell'affermare che l'articolo 18 è stato finalmente estorto.
Del resto, l'Europa di Juncker, che ha a capo della commissione un altro individuo pronto a bacchettare le inadempienze finanziarie, vere o presunte,  dei singoli stati dopo aver governato un paradiso fiscale che temo abbia ben poco da offrire all'economia europea, se non elusione, non mi pare vada nella direzione di una crescita solidale. La finanza continua  a governare l'economia e a strangolarla.
Così come Juncker, che  dovrebbe guidarci alla prosperità europea, è stato, e forse è, uno degli artefici del guadagno di pochi a discapito di molti, al limite della legalità e molto oltre la correttezza; il nostro (si fa per dire) Sacconi, che gongola per aver reso più precario il destino di molte famiglie, non si vergogna di presentarsi come un difensore della Famiglia, quando si tratta di imporne un modello etico becero e antistorico.
E mentre l'Ego della Bilancia si riempie la bocca di termini inglesi, io mi domando a quale altro disastro ci porterà il jobs act se ha passato il vaglio di certe censure.